Distanze legali tra edifici: i balconi sostenuti da solette aggettanti rientrano nel calcolo

In tema di distanze legali fra edifici non sono computabili le sporgenze esterne del fabbricato che abbiano funzione meramente ornamentale, mentre costituiscono corpo di fabbrica le sporgenze degli edifici aventi particolari proporzioni, come i balconi sostenuti da solette aggettanti , anche se scoperti, ove siano di apprezzabile profondità e ampiezza, giacché, pur non corrispondendo a volumi abitativi coperti, rientrano nel concetto civilistico di costruzione, in quanto destinati ad estendere ed ampliare la consistenza dei fabbricati.
E’ quanto ha ribadito la Corte di cassazione, Sezione 2 Civile, con l’ordinanza del 17 settembre 2021, 25191, mediante la quale ha accolto il ricorso e cassato con rinvio per nuovo esame la decisione della Corte d’appello di Firenze.
La vicenda
La pronuncia in esame ha avuto origine dal fatto che Livio Tasso, con ricorso ex art. 696 c.p.c. del 2001, proponeva innanzi al Tribunale di Firenze accertamento tecnico preventivo per la descrizione dei danni causati al suo immobile per effetto dell’edificazione che le società Pi S.r.l. e Ci Immobiliare S.r.l. stavano realizzando in aderenza, nonché per la descrizione dello stato dei luoghi, relativamente alla limitazione della veduta esercitata dalla terrazza della sua abitazione.
All’esito del deposito della relazione peritale, che confermava che al posto del preesistente edificio, elevato per due piani fuori terra, era stato realizzato un nuovo immobile di quattro piani fuori terra, dotato di vari terrazzi e finestre e realizzato in parte in aderenza a quello di proprietà del Tasso, quest’ultimo evocava in giudizio le due predette società, Pi S.r.l. e Ci Immobiliare S.r.l., innanzi il Tribunale di Firenze, chiedendone la condanna ad arretrare la loro nuova fabbrica sino al rispetto della distanza minima tra gli edifici.
Con sentenza n. 1560 del 2009 il Tribunale di Firenze rigettava la domanda.
Interponeva appello il Tasso, invocando:
1) l’arretramento del nuovo fabbricato sino alla distanza di dieci metri prevista tra le pareti finestrate;
2) l’arretramento della parte della nuova fabbrica eretta in aderenza al suo immobile sino alla distanza di 6 metri, o comunque alla distanza doppia di quella di cui all’art. 873 c.c. ;
3) l’arretramento dei terrazzi del nuovo edificio fino al rispetto della distanza minima di 5 metri dalla terrazza di sua proprietà;
4) il risarcimento del danno patito.
Nella resistenza delle altre parti del giudizio, la Corte di Appello di Firenze , con la sentenza oggi impugnata, n. 2209 del 2015, rigettava il gravame condannando l’appellante alle spese del grado.
La Corte di Appello ha richiamato la motivazione del Tribunale, che aveva escluso la rilevanza delle finestre esistenti nel muro della proprietà Tasso, interessate dalla prospiciente nuova edificazione denunciata, sul presupposto che dette aperture non concorressero al raggiungimento del rapporto minimo di illuminazione tra superficie pavimentata e superficie finestrata.
In sostanza, il primo giudice aveva affermato che dal momento che la proprietà Tasso aveva altre aperture, dalle quali prendeva sufficiente luce, la violazione della normativa in tema di distanze minime tra le pareti finestrate prospicienti non era rilevante, poiché interessante solo aperture “secondarie”.
Secondo la Corte del merito nel caso specifico la normativa regolamentare locale, pur prevedendo distanze maggiori di quelle indicate nel codice civile, richiamava espressamente la normativa codicistica.
Pertanto, tra norma locale e norma del codice civile si configurava un rapporto non già di sovrapposizione, ma di integrazione, con la conseguenza che, anche in difetto di esplicita norma regolamentare che autorizzasse l’edificazione in aderenza, quest’ultima dovesse essere ritenuta comunque consentita, proprio per effetto del rinvio operato alle norme del codice civile.Infine, secondo la Corte d’appello nel caso in esame non verrebbe in rilievo un problema di distanze tra le costruzioni o dal confine, ma piuttosto una questione di regolamentazione del diritto di veduta, con conseguente applicazione non dell’art. 873 c.c., ma dell’art. 905 c.c.
Per la cassazione della decisione d’appello Livio Tasso ha proposto ricorso, affidandosi a tre motivi
I motivi di ricorso
Con il primo motivo , il ricorrente ha lamentato la la violazione dell’art. 9 del D. M. n. 1444 del 1968, e la falsa applicazione dell’art. 11 delle N.T.A. del P.G.R. del Comune di Campi Bisenzio, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe dovuto ravvisare un contrasto tra la disciplina statale e quella prevista dal regolamento locale e disapplicare la seconda.
Con il secondo motivo, il ricorrente ha lamentato la violazione dell’art. 11 delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di Utopia di Toscana, nonché la falsa applicazione dell’art. 877 c.c., in relazione all’art. 360, primo corna, n. 3, c.p.c., perché la Corte fiorentina avrebbe dovuto ritenere non operante la norma del codice civile, che autorizza la costruzione in aderenza, in presenza di un regolamento locale che prevede il rispetto di una specifica distanza tra edifici, e tra edificio e confine, senza autorizzare espressamente la costruzione in aderenza.
Con il terzo motivo, il ricorrente ha lamentato la violazione dell’art. 873 c.c. e la falsa applicazione dell’art. 11 delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di Utopia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché il giudice di seconde cure avrebbe erroneamente deciso la domanda relativa all’arretramento dei balconi realizzati nel nuovo edificio facendo applicazione della disposizione di cui all’art. 905 c.c., in materia di diritto di veduta, e non invece di quella di cui all’art. 873 c.c., in materia di distanze tra gli edifici.